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astronomia

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Introduzione

Nell’articolo precedente si è esaminato più nel dettaglio l’effetto della diffrazione. Generalmente lo spettro luminoso, per essere analizzato nelle sue componenti, viene diviso per messo di in mezzo disperdente. Il più semplice mezzo disperdente è il prisma: di questo ci occuperemo tra un attimo. Altre possibilità sono costituite da un reticolo olografico o da un reticolo di diffrazione. In questo articolo ci occuperemo della teoria alla base di tali mezzi.


1 – Funzionamento dei prismi

Alla base del funzionamento dei prismi risiede il fenomeno della rifrazione. Tuttavia occorre procedere con ordine. I prismi sono tipicamente triangolari con l’angolo al vertice variabile da 45° a 60°. Essi servono a dividere la luce nelle sue componenti (fig.1).

Figura 1
Figura 2
Figura 2

Questo è dovuto al fatto che in realtà alcuni materiali presentano una rifrazione differenziale per le diverse lunghezze d’onda. Tale comportamento è detto dispersione (fig.2). Poiché n è una funzione della lunghezza d’onda, la legge di Snell indica che l’angolo di rifrazione quando la luce entra in un materiale dipende dalla lunghezza d’onda della luce. Generalmente (fig.2) l’indice di rifrazione di un materiale diminuisce all’aumentare della lunghezza d’onda. Quando un raggio monocromatica entra nel prisma con un angolo al vertice, detto anche angolo di rifrangenza, Φ questo viene deviato di un certo angolo δ in seguito alla rifrazione (fig.3). Se invece il raggio incidente è in luce bianca le sue varie componenti subiranno una rifrazione differenziale a seconda della lunghezza d’onda. Ciò significa che la luce viola (λ ≈ 400nm) sarà rifratta di più della luce rossa (λ ≈ 650nm). A causa della rifrazione le diverse lunghezze d’onda assumeranno angoli δ diversi e ciò porta alla risoluzione dello spettro visibile.

Figura 3

2 – Reticolo di diffrazione

Il reticolo di diffrazione è uno strumento molto più utile nell’analisi della radiazione luminosa rispetto al prisma, tanto che oggigiorno costituiscono la maggior parte dei monocromatori negli spettroscopi. A questa categoria appartengono i reticoli di diffrazione in riflessione (reticoli di diffrazione propriamente detti) e quelli in trasmissione (reticoli olografici). La teoria alla base è la medesima. Mediamente i reticoli professionali possono avere un grandissimo numero di linee a distanza ravvicinata: per esempio un reticolo contenente 5000righe/cm ha una separazione tra le fenditure d = ({1 over 5000}) = 2,00cdot 10^{-4}cm. Ogni fenditura si comporta come una sorgente di onde che partono tutte in fase. Tuttavia, come si è visto nella “Parte II” sullo schermo ci saranno punti in cui sullo schermo si riscontrerà interferenza costruttiva ed altri con interferenza distruttiva. Come si è visto la condizione necessaria per avere le onde in fase sul punto di arrivo è che differiscano per un multiplo intero della lunghezza d’onda (fig.4):

delta = dsintheta_{if} = mlambda hspace{3cm} m = 0, pm1, pm2, ldots

Figura 4

Se la radiazione incidente contiene diverse lunghezze d’onda, per ognuna si esse il massimo si trova ad un angolo determinato in funzione di λ. Questo è esattamente ciò che accade nello StarAnalyser100 usato dal gruppo per risolvere lo spettro dei corpi celesti (fig.5).

Figura 5
Figura 6

Questo reticolo è montato su un comune filtro da 1.25″. Presenta 100 linee/cm e dà la possibilità di acquisire con un CCD spettri a bassa risoluzione di oggetti celesti (stelle, nebulose o galassie). Come per i reticoli precedenti presenta uno spettro del primo ordine  corrispondente all’oggetto celeste. Sono presenti anche in questo caso gli spettri di ordine m = pm1, pm2. ldots (fig.6). Per le analisi bisogna registrare lo spettro di m = +1, che fra i due è quello più brillante.

Pillole: “Appunti di spettroscopia” – Parte I

Introduzione

Nella vita di tutti i giorni non ci soffermiamo mai abbastanza su quello che la nostra esperienza ci trasferisce: azioni come il correre, il saltare o il guardare sono dovuti a principi fisici. La fisica ci circonda e guida la vita di tutti i giorni dagli atti più elementari fino a quelli più tecnologicamente avanzati. Siamo pertanto esseri fisici e la vita stessa non sarebbe possibile senza la fisica. In questa sezione si prenderà in considerazione la spettroscopia, ossia l’analisi della radiazione luminosa al fine di individuare particolari elementi nei corpi celesti.


1 – La Luce

Chiaramente tutti noi sappiamo cosa è la luce: la vediamo tutti i giorni, sappiamo di cosa si tratta. Tuttavia la comprensione di questo fenomeno fisico è una conquista relativamente recente. La “Teoria Corpuscolare” formulata da Isaac Newton nel XVII secolo prevede che la luce fosse assimilabile ad una particella che si propaga in linea retta con una velocità molto alta, ma non infinita. Fenomeni come la riflessione venivano spiegati con la teoria elastica degli urti; i colori dell’arcobaleno venivano spiegati con la presenza di particelle diverse che davano colori diversi, mentre la luce bianca era un’aggregazione di queste particelle colorate. Successivamente Huygens formulò nel 1690 la “Teoria Ondulatoria“: la luce diviene un’onda che si propaga nell’etere (una sorta di mezzo ubiquitario che pervade tutto l’universo). Bisogna aspettare fino all’inizio del 1800 per iniziare ad avere una comprensione più approfondita della materia: in un celebre esperimento Young avvalorò la teoria ondulatoria della luce dimostrando due la diffrazione di due raggi luminosi portava ad interferenza costruttiva (proprietà tipica delle onde). alla fine del XIX secolo Maxwell propose la “Teoria Elettromagnetica“. Grazie al suo lavoro si comprese che la luce intesa come luce visibile era solo una piccola parte dello spettro elettromagnetico e si fu in grado di unificare i fenomeni elettrici, magnetici ed ottici. Maxwell però pensava ancora che un’onda si dovesse per forza propagare attraverso un mezzo, ossia l’etere. Tuttavia la grande rivoluzione del mondo moderno risiede nella “Teoria Quantistica” che ha iniziato a svilupparsi nei primi anni del 1900. A Planck si deve l’ipotesi che l’energia si trasmettesse in pacchetti discreti, i quanti. Successivamente le considerazioni di Einstein sull’effetto fotoelettrico del 1905 incanalarono il pensiero dei suoi contemporanei verso una nuova strada. Con de Broglie nel 1924 si fece ancora un passo avanti ipotizzando che non solo la luce possedeva proprietà duali di onda e di corpuscolo (dualismo onda-particella), ma anche tutta la materia: nel 1927 infatti si registrò il primo pattern di diffrazione di un fascio di elettroni su un cristallo.


2 – Proprietà della Luce

A questo punto quello bisogna approfondire al fine della spettroscopia è la comprensione delle proprietà fondamentali della luce: la diffrazione, la riflessione e la rifrazione.

2.1 – Modello di raggio luminoso in ottica geometrica

Figura 1
Figura 1

Per semplificare il discorso si immagina che la luce sia formata da un’onda piana che si propaga in linea retta. Un’insieme di raggi luminosi si può immaginare come fronti d’onda in cui i raggi sono perpendicolari in ogni punto dello spazio al fronte (fig.1). Se il fronte d’onda incontra un ostacolo come un’apertura di apertura d e questa è infinitamente più grande della lunghezza d’onda (λ) del raggio luminoso, allora l’onda emergente continua a muoversi in linea retta. In questo caso l’approssimazione geometrica continua ad essere valida (fig.2a). Se l’apertura è dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda (λ) allora si ha il fenomeno della diffrazione (fig.2b): l’onda si diffonde nello spazio e questo fenomeno è tanto più pronunciato quanto più il rapporto d/λ tende a zero e si può considerare una sorgente di luce puntiforme (fig.2c). Questo fenomeno in realtà è molto più vicino alla nostra vita di quanto si possa pensare. Immaginiamo di essere in una stanza buia. Se apriamo una porta dall’interno si vedrà un fascio di luce che percorre la stanza in modo rettilineo. Se poi fuori dalla porta c’è della gente che parla le parole invece si sentono in tutta la stanza. Questo avviene perché la λ della luce è infinitamente più piccola dell’apertura della porta d e pertanto il valore di d/λ tende ad infinito. Invece nel caso del suono (non è un’onda elettromagnetica, ma il fenomeno appena descritto è una proprietà di tutte le onde) d è paragonabile con λ e pertanto si ha il fenomeno della diffrazione.

 

 

 

 

 

   Figura 2

 

2.2 – Riflessione di un’onda

Un raggio incidente su una superficie viene riflesso con uno stesso angolo rispetto alla normale del piano nel punto di incisione. in altre parole il raggio di incisione forma un angolo θ rispetto alla linea perpendicolare tracciata nel punto di incisione e si forma un raggio riflesso speculare con un angolo di riflessione θ’=θ (fig.3a)Questa è nota come legge di riflessione. Il fatto che gli angoli si misurino rispetto alla normale alla superficie è solo una convenzione. Nel caso della riflessione diffusa (fig.3b) la legge si applica rispetto alla normale locale in quanto la superficie è discontinua.


Figura 3

2.3 – Rifrazione di un’onda

Quando un raggio di luce (fig.4b) che viaggia in un mezzo trasparente (1) incide su una superficie di separazione con un altro mezzo trasperente (es: aria-acqua, aria-vetro, ecc) parte del raggio è riflessa (2), ma parte è trasmessa al secondo mezzo (3). La rifrazione è un fenomeno dovuto alla differenza di indice di rifrazione del mezzo.

Figura 4

Una proprietà ottica dice che: il raggio incidente, il raggio riflesso ed il raggio rifratto giacciono sullo stesso piano. Il raggio luminoso che entra nel secondo mezzo e viene deviato è detto raggio rifratto. L’angolo di rifrazione θ2 dipende dal rapporto degli indici di rifrazione (v) secondo la formula:

 {\sin \theta_2 \over \sin \theta_1} = v_2v_1 = costante

Questa è nota come legge di Snell. La formula riporta v1 e v2 che sono le velocità relative ai due mezzi. Tuttavia le velocità sono a loro volta correlate dall’indice di rifrazione secondo la formula:

n = {\mbox {velocita della luce nel vuoto} \over \mbox {velocita della luce nel mezzo}} = {c\over v}

Quindi quando la luce passa da un mezzo in cui la sua velocità è maggiore (n piccolo) ad un mezzo in cui la sua velocità è più bassa (n grande), l’angolo di rifrazione θ2 è minore dell’angolo di incidenza ed all’aumentare di n il raggio rifratto si avvicina alla normale (fig.5). n vale all’unità solo per il vuoto in quanto in questo mezzo la velocità della luce vale c.


Figura 5

Di seguito sono riportati alcuni valori:

\mbox {Vuoto} \hspace{1cm} \mbox{1.000} \hspace{3cm} \mbox {Aria} \hspace{1cm} \mbox{1.000293}

\mbox {Ghiaccio} \hspace{1cm} \mbox{1.309} \hspace{3cm} \mbox {Acqua} \hspace{1cm} \mbox{1.333}

\mbox {Vetro crown} \hspace{1cm} \mbox{1.520} \hspace{3cm} \mbox {Vetro flint} \hspace{1cm} \mbox{1.660}

Un raggio di luce che passa da un mezzo all’altro non cambia in frequenza. Poiché la relazione v=fλ (velocità = λ/T) deve essere valida in entrambi i mezzi e per l’ipotesi che f1=f2=f. Ne deriva:

v_1 = f\lambda_1 \hspace{3cm} v_2 = f\lambda_2

v_1 \neq v_2 \hspace{3cm} \lambda_1 \neq \lambda_2

{v_1 \over v_2} = {\lambda_1 \over \lambda_2} = {c/n_1 \over c/n_2} = {n_2 \over n_1}

\lambda_1n_2 = \lambda_2n_1

n = {\lambda_0 \over \lambda_n}

dove λ0 è la lunghezza d’onda della luce nel vuoto e λn è la lunghezza d’onda della luce nel mezzo il cui indice di rifrazione è n. Di conseguenza:

{\sin\theta_2 \over \sin\theta_1} = v_2v_1 = \mbox{costante}

{\sin\theta_2 \over \sin\theta_1} = {n_1 \over n_2} = \mbox{costante}

n_1\sin\theta_1 = n_2\sin\theta_2

Questa rappresenta una forma alternativa della legge di Snell nota come legge di rifrazione.

ATTENZIONE: l’indice di rifrazione è inversamente proporzionale alla velocità di propagazione della velocità dell’onda. Quando la velocità v dell’onda diminuisce, l’indice di rifrazione n aumenta. Tanto è più alto n, più la velocità rallenta. Più la luce rallenta più θ2 differisce da θ1, e si avvicina alla normale.

(*) Jewett, Serway, “Principi di fisica“, Vol 1, EdiSES, 2007

Sconcertante sistema di sei esopianeti in moto ritmico sfida le teorie di formazione dei pianeti

11 febbraio 2021

inserito da
ESO

 

 
 

Usando una combinazione di telescopi, tra cui il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (European Southern Observatory), alcuni astronomi hanno rivelato un sistema composto da sei esopianeti, cinque dei quali si muovono con una cadenza inusuale intorno alla propria stella centrale. I ricercatori ritengono che il sistema potrebbe fornire importanti indizi sulla formazione e sull’evoluzione dei pianeti, compresi quelli del Sistema Solare.

Quando l’equipe ha osservato per la prima volta TOI-178, una stella a circa 200 anni luce di distanza da noi nella costellazione dello Scultore, ha pensato di aver individuato due pianeti che le giravano intorno sulla stessa orbita. Tuttavia, uno sguardo più attento ha rivelato qualcosa di completamente diverso. “Attraverso ulteriori osservazioni ci siamo resi conto che non c’erano due pianeti in orbita intorno alla stella all’incirca alla stessa distanza da essa, ma diversi pianeti in una configurazione molto speciale“, afferma Adrien Leleu dell’Université de Genève e dell’Università di Berna, Svizzera, che ha condotto un nuovo studio del sistema, pubblicato oggi dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

La nuova ricerca ha rivelato che il sistema vanta sei esopianeti e che tutti, tranne quello più vicino alla stella, sono bloccati in una danza ritmica lungo l’orbita. In altre parole, sono in risonanza. Ciò significa che ci sono schemi che si ripetono mentre i pianeti girano intorno alla stella, con alcuni pianeti che si allineano ogni poche orbite. Una risonanza simile si osserva nelle orbite di tre lune di Giove: Io, Europa e Ganimede. Io, la più vicina delle tre a Giove, compie quattro orbite complete intorno a Giove per ogni orbita di Ganimede, la più lontana, e due orbite complete per ogni orbita di Europa.

I cinque esopianeti esterni del sistema TOI-178 seguono una catena di risonanza molto più complessa, una delle più lunghe mai scoperte in un sistema planetario. Mentre le tre lune di Giove sono in risonanza 4:2:1, i cinque pianeti esterni nel sistema TOI-178 seguono una catena 18:9:6:4:3: mentre il secondo pianeta dalla stella (il primo nella catena di risonanza) completa 18 orbite, il terzo pianeta dall’inizio (il secondo della catena) completa 9 orbite e così via. In effetti, gli scienziati inizialmente hanno trovato solo cinque pianeti nel sistema, ma seguendo il ritmo di risonanza hanno calcolato dove si sarebbe dovuto trovare nella sua orbita un ulteriore pianeta quando avrebbero avuto una finestra per osservare il sistema.

Più che una semplice curiosità orbitale, questa danza di pianeti risonanti fornisce indizi sul passato del sistema. “Le orbite in questo sistema sono molto ben ordinate, il che ci dice che questo sistema si è evoluto abbastanza dolcemente dal momento della sua nascita“, spiega il coautore Yann Alibert dell’Università di Berna. Se il sistema fosse stato disturbato significativamente nella sua vita passata, per esempio da un impatto gigantesco, questa fragile configurazione di orbite non sarebbe sopravvissuta.

Disturbo del sistema ritmico

Ma anche se la disposizione delle orbite è regolare e ben ordinata, le densità dei pianeti “sono molto più disordinate“, afferma Nathan Hara dell’Université de Genève, Svizzera, anch’egli coinvolto nello studio. “Sembra che ci sia un pianeta denso come la Terra proprio accanto a un pianeta molto rarefatto con metà della densità di Nettuno, seguito da un pianeta con la densità di Nettuno. Non è quello a cui siamo abituati”. Nel nostro Sistema Solare, per esempio, i pianeti sono disposti in modo ordinato, con i pianeti rocciosi e più densi più vicini alla stella centrale e i pianeti gassosi a bassa densità più lontani.

Questo contrasto tra l’armonia ritmica del movimento orbitale e le densità disordinate certamente sfida la nostra comprensione della formazione e dell’evoluzione dei sistemi planetari”, aggiunge Leleu.

Tecniche di combinazione

Per indagare sull’architettura insolita del sistema, l’equipe ha utilizzato i dati del satellite CHEOPS dell’Agenzia spaziale europea, insieme agli strumenti che osservano da terra come ESPRESSO, installato sul VLT dell’ESO e NGTS e SPECULOOS, tutti situati presso l’Osservatorio dell’ESO al Paranal in Cile. Poiché gli esopianeti sono estremamente difficili da individuare direttamente con i telescopi, gli astronomi devono invece fare affidamento su altre tecniche per rilevarli. I metodi principali utilizzati sono il metodo del transito – cioè osservare la luce emessa dalla stella centrale, che si attenua al passaggio di un esopianeta nella linea di vista dell’osservazione da Terra – e il metodo delle velocità radiali – cioè cercare nello spettro di luce emesso della stella piccoli segni di oscillazioni che si verificano mentre gli esopianeti si spostano nell’orbita. L’equipe ha utilizzato entrambi i metodi per osservare il sistema: CHEOPS, NGTS e SPECULOOS per i transiti ed ESPRESSO per le velocità radiali.

Combinando le due tecniche, gli astronomi sono stati in grado di raccogliere informazioni chiave sul sistema e sui suoi pianeti, che orbitano intorno alla loro stella centrale molto più vicino e molto più velocemente di quanto la Terra orbiti intorno al Sole. Il più veloce (il pianeta più interno) completa un’orbita in appena un paio di giorni, mentre il più lento impiega circa dieci volte di più. I sei pianeti hanno dimensioni che vanno da circa una a circa tre volte la dimensione della Terra, mentre le loro masse sono da 1,5 a 8 volte la massa della Terra. Alcuni dei pianeti sono rocciosi, ma più grandi della Terra: questi pianeti sono noti come Super-Terre. Altri sono pianeti gassosi, come i pianeti esterni del nostro Sistema Solare, ma sono molto più piccoli: sono chiamati Mini-Nettuno.

Sebbene nessuno dei sei esopianeti trovati si trovi nella zona abitabile della stella, i ricercatori suggeriscono che, continuando la catena di risonanza, potrebbero trovare, in questa zona o nelle sue vicinanze, qualche altro pianeta. L’Extremely Large Telescope (ELT) dell’ESO, l’inizio delle cui operazioni è previsto in questo decennio, sarà in grado di visualizzare direttamente gli esopianeti rocciosi nella zona abitabile di una stella e persino di caratterizzarne l’atmosfera, offrendo l’opportunità di conoscere in maggior dettaglio sistemi come TOI-178.

“Modifica (correzione del 4 febbraio 2021): una versione precedente di questo comunicato stampa erroneamente affermava che le masse dei pianeti nel sistema variavano da 1,5 a 30 volte la massa della Terra. In realtà i pianeti hanno masse tra 1,5 e 8 volte questo valore.”